DR. MICHAEL LAITMAN PER CAMBIARE IL MONDO – CAMBIAMO L'UOMO

Il ricordo della Shoah non è un buon motivo per non far nulla

Una ragazza ebrea pone una tavola di legno sui binari ferroviari per commemorare i suoi parenti uccisi presso l'ex campo di sterminio nazista di Auschwitz-Birkenau. (Photo credit: REUTERS).

Una ragazza ebrea pone una tavola di legno sui binari ferroviari per commemorare i suoi parenti uccisi presso l’ex campo di sterminio nazista di Auschwitz-Birkenau. (Photo credit: REUTERS).

Se c’è qualcosa che può dare un senso alla tragica morte dei nostri cari è il fatto che noi dobbiamo creare un’unione così forte da impedire che una tale tragedia si ripeta.

 

Il 27 gennaio 2017, il mondo ha commemorato il Giorno Internazionale della Memoria della Shoah. Ma oggi ancora una volta il mondo è sempre più antisemita. Oggi, però, siamo in grado di impedire il verificarsi di un secondo Olocausto, perché accadrà, a meno che non facciamo subito qualcosa.

Poco prima dell’espulsione dalla Spagna, gli ebrei si erano “avidamente inseriti fra i loro ospiti spagnoli”, come aveva scritto l’acclamato storico Jane S. Gerber in The Jews of Spain: A History of the Sephardic Experience (Gli ebrei di Spagna: Una storia di esperienze sefardite). Gli ebrei spagnoli consideravano la Spagna la nuova Gerusalemme e pensavano che “la presenza di tanti ebrei e cristiani di origine ebraica nei circoli interni della corte, nei comuni e anche nella Chiesa cattolica, avrebbe potuto fornir loro la giusta protezione per scongiurare il decreto di espulsione”. Ma si sbagliavano.

Come i loro fratelli in Spagna, anche gli ebrei tedeschi credevano che se si fossero totalmente uniti ai tedeschi, sarebbero stati al sicuro dall’“eterno dito puntato contro” che è la sorte degli ebrei. I professori Steven J. Zipperstein della Stanford University e Jonathan Frankel della Hebrew University di Gerusalemme, scrivevano in Assimilation and Community: The Jews in Nineteenth-Century Europe (Assimilazione e Comunità: Gli ebrei nel XIX secolo in Europa), che pochi anni dopo l’inizio dell’emancipazione ebraica, David Friedlander, uno dei più importanti leader della comunità ebraica, aveva suggerito agli ebrei di Berlino di convertirsi al cristianesimo in massa. Stiamo ricordando in questi giorni come si è conclusa questa conversione.

Per molti secoli, ogni volta che gli ebrei hanno cercato di abbandonare le proprie tribù, la loro nazione ospitante li ha puniti pesantemente. Per secoli però, sia i sostenitori che i nemici degli ebrei, rimanevano sempre più sconcertati da quanto fossero coriacei gli ebrei, nonostante la loro costante persecuzione e il perpetrarsi del loro sterminio. L’Autore Mark Twain meditava sulla sopravvivenza degli ebrei nel suo saggio, A proposito degli ebrei: “L’egiziano, il babilonese e la rosa di Persia, hanno riempito il pianeta con il loro suono e lo splendore, poi sono scomparsi come i sogni al mattino; i greci e i romani li hanno seguiti, hanno fatto un grande rumore e se ne sono andati. L’ebreo li ha visti tutti, li ha battuti ed ora è quello che è sempre stato. Tutte le cose sono mortali, tranne l’ebreo; tutte le altre forze passano, ma lui rimane. Qual è il segreto della sua immortalità?”

Stranamente, anche Adolf Hitler si chiedeva come fosse possibile che gli ebrei fossero sopravvissuti per così tanto tempo. Nel Mein Kampf scrisse: “Quando ho osservato l’attività del popolo ebraico nel corso della storia umana, improvvisamente era sorta in me la questione paurosa che l’imperscrutabile Destino, forse per ragioni a noi poveri mortali sconosciute, con eterna e immutabile determinazione, non desidera altro che la vittoria finale di questa piccola nazione”.

Le nazioni non possono risolvere l’enigma della nostra sopravvivenza; solo noi possiamo farlo.

Perché ci perseguitano e perché sopravviviamo

Noi ebrei siamo diversi da qualsiasi altra nazione. Non vorremmo esserlo, ma il fatto che il mondo intero ci critichi ogni giorno, che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite discuta quasi esclusivamente riguardo a Israele e che gli ebrei siano l’obiettivo principale dei crimini dettati dall’odio non solo in Europa ma anche negli Stati Uniti, dimostra che siamo di gran lunga la nazione più odiata sulla faccia della terra.

L’insediamento di Donald Trump come Presidente ci può far tirare un sospiro di sollievo dal palese odio contro gli ebrei ma se non risponderemo correttamente all’opportunità che ci viene data, inevitabilmente arriverà il contraccolpo. Anche se il presidente Trump ha posto il suo veto su tutte le risoluzioni anti-israeliane delle Nazioni Unite, questo non mitigherà l’odio che le nazioni sentono nei nostri confronti. Prima o poi, anche lui, dovrà riconsiderare la sua posizione. Per evitare quindi un altro Olocausto, dobbiamo capire la nostra posizione unica al mondo e agire di conseguenza.

“Gli ebrei sono responsabili di tutte le guerre nel mondo”

L’infame discorso tenuto nel 2006 da Mel Gibson, nel quale l’attore ha affermato che “Gli ebrei sono responsabili di tutte le guerre del mondo”, così come la dichiarazione del generale William Boykin secondo la quale “Gli ebrei sono il problema, gli ebrei sono la causa di tutti i problemi del mondo”, riflettono quella sensazione viscerale che in una certa misura l’intero mondo prova. Peggio ancora, più diventano irrisolvibili i conflitti del mondo, più gli ebrei vengono incolpati di questo. Che lo ammetta o meno, l’umanità sa che subito dopo l’aver accettato di unirci “Come un solo uomo con un solo cuore”, siamo diventati il popolo a cui è stato affidato il compito di essere “Una luce per le nazioni”. Anche se le persone non possono esprimerlo a parole, sentono comunque che la luce che dobbiamo portare al mondo è la luce dell’unione e della pace, quella sola unione che avevamo raggiunto ai piedi del Monte Sinai. Pertanto, finché nel mondo ci saranno l’odio e la guerra, esisterà l’antisemitismo.

Ma per portare la pace, dobbiamo comprenderne il significato. Quando i nostri saggi parlavano di pace, non si riferivano all’assenza di guerra. Per evitare la guerra, possiamo semplicemente evitare il contatto. La parola shalom (pace) deriva dalla parola ebraica shlemut (completezza). Fare la pace significa formare un intero. Prendere due opposti in conflitto e unirli in modo da formare un tutt’uno. Si tratta di un’entità che non è nessuno dei due, ma è il frutto di entrambi, una creazione che non avrebbe potuto essere fatta senza entrambi e che entrambi amano profondamente. Proprio come un uomo e una donna creano insieme un bambino che non è la materializzazione né della madre né del padre, ma che è l’amata creazione di entrambi, la pace è quel tutto che viene creato da due punti di vista opposti e contrastanti.

Il libro Likutey Halachot (Regole Assortite) scrive: “L’essenza della vitalità, dell’esistenza, e della correzione, nella creazione è raggiunta da persone di diverse opinioni unite insieme in amore, unione e pace”. Abramo ha insegnato questa unione speciale ai suoi discepoli e discendenti e Mosè ha insegnato questo a tutta la nazione, fino a quando le persone si sono unite nel cuore e sono così diventate una nazione con la missione di completare il lavoro di Mosè e trasmettere questa saggezza al resto del mondo. Ramchal ha scritto nel suo libro “Il commento di Ramchal sulla Torah“: “Mosè voleva completare la correzione del mondo in quel tempo, ma non ci è riuscito a causa delle corruzioni che si sono verificate lungo il cammino”. Noi stiamo ancora soffrendo per queste corruzioni: questo è l’odio infondato che ci sta lacerando e che si presenta come “una tenebra fra le nazioni”, piuttosto che come la loro luce.

Per capire in che modo dobbiamo unirci per diventare quella luce, pensiamo ai nostri corpi. La diversità delle funzioni degli organi nel nostro corpo garantisce la nostra salute. Il fegato, il cuore e i reni funzionano in modo molto diverso, e tutti richiedono sangue. Se non sapessimo che questi organi si completano a vicenda per mantenere la nostra salute, potremmo pensare che essi siano in lizza per la stessa risorsa. Eppure, senza uno di loro saremmo morti.

“L’umanità”, proprio come i nostri corpi, non è un nome generico per identificare “molte persone”; essa è l’entità di cui noi siamo tutte le parti. Quando vediamo noi stessi come esseri separati, dobbiamo lottare per la sopravvivenza. Ma se ci elevassimo al di sopra dei nostri piccoli esseri per un momento, scopriremmo una ben diversa realtà, quella nella quale siamo connessi e ci sosteniamo a vicenda.

Baal HaSulam scrisse nel suo saggio “La Libertà” che “quando l’uomo raggiungerà il suo obiettivo di completo amore per gli altri, tutti i corpi del mondo si riuniranno in un unico corpo con un unico cuore. Tuttavia, a fronte di questo, dobbiamo essere attenti a non portare le opinioni delle persone così vicine che il disaccordo e la critica potrebbero essere risolte, perché sarà l’amore a portare naturalmente con sé la vicinanza delle opinioni. Se le critiche e i dissensi dovessero svanire, cesserebbe ogni progresso nei concetti e nelle idee e la fonte della conoscenza nel mondo si inaridirebbe”.

“Questa”, continua Baal HaSulam, “è la prova dell’obbligo alla cautela con la libertà dell’individuo per quanto riguarda i concetti e le idee, perché tutto lo sviluppo della saggezza e della conoscenza si basa su quella libertà dell’individuo. Quindi, dobbiamo stare attenti a conservarla con molta attenzione”. La pace, quindi, è possibile solo quando siamo diversi ma ci sosteniamo a vicenda, quando ci uniamo al di sopra delle nostre differenze. Se non trasmettiamo questo principio alle nazioni, non lo troveranno da sole e ci daranno ancora la colpa per le loro guerre.

Il filosofo e storico Nikolai Berdyaev scrisse in The Meaning of History (Il significato della storia) che: “La sopravvivenza degli ebrei, la loro sopportazione alla distruzione, la loro resistenza in condizioni assolutamente peculiari e il fatidico ruolo da essi svolto nella storia, sono tutti fattori che portano alle particolari e misteriose fondamenta del loro destino”. Ma quello che Nikolai Berdyaev non può sapere è la natura specifica del nostro destino, il significato di essere “Una luce per le nazioni”. Se vogliamo evitare un’altra ondata di genocidio, dobbiamo cominciare ad adempiere a quello che è il nostro compito.

Io ho perso quasi tutta la mia famiglia nella Shoah, ma capisco che il dolore legato al semplice ricordo non ci esime dall’azione. La memoria non li porterà indietro, né potrà prevenire il ripetersi dell’orrore. Solo la nostra unione al di sopra delle nostre differenze, proprio come descritto sopra, potrà stabilire la pace fra noi e ci renderà un modello per il resto del mondo, “Una luce per le nazioni”. Se esiste qualcosa che può dare un senso alla tragica morte dei nostri cari è il fatto che dobbiamo creare un’unione così forte da impedire che una tale tragedia si ripeta.

Originariamente pubblicato su Unitingeurope.blogactiv.eu

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