DR. MICHAEL LAITMAN PER CAMBIARE IL MONDO – CAMBIAMO L'UOMO

Dopo trentacinque secoli il Faraone è ancora contro Mosè

Ebrei attraversano il Mar Rosso inseguiti dal Faraone. Affresco della sinagoga di Dura Europos Credit: Wikimedia Commons

Ebrei attraversano il Mar Rosso inseguiti dal Faraone. Affresco della sinagoga di Dura Europos Credit: Wikimedia Commons

Da governanti dell’Egitto ne siamo diventati gli schiavi, perché non volevamo essere ebrei: uniti al di sopra dell’odio.

Nel corso della storia, il racconto della liberazione degli ebrei dalla schiavitù ha catturato l’immaginazione di miliardi di persone. L’Esodo è diventato il simbolo della lotta dell’uomo per la libertà dall’oppressione e dall’ingiustizia. Ma c’è qualcosa di strano riguardo all’Esodo: la Torah raccomanda ad ognuno di noi di vederci ogni giorno come se fossimo appena usciti dall’Egitto. Perché questa storia è così importante? Potrebbe essere che sotto il racconto epico vi sia nascosto un significato più profondo?

Se esaminassimo i testi dei nostri saggi attraverso i secoli, di fatto troveremmo che l’esodo dall’Egitto descrive un processo che noi, come ebrei, abbiamo passato, stiamo tutt’ora attraversando e influenza anche la vita di ebrei e non, di tutto il mondo. Se comprenderemo meglio questo processo, troveremo risposte convincenti a molte delle domande più pressanti oggi per gli ebrei, come: qual è l’essenza dell’Ebraismo e per quale ragione esiste l’antisemitismo.

Il segreto di Abramo

Quando i fratelli di Giuseppe si recarono in Egitto, vissero la vita migliore che si potesse immaginare. Con la benedizione del Faraone, Giuseppe era di fatto governatore d’Egitto. il Faraone disse a Giuseppe: “Tu sarai a capo della mia casa e tutto il mio popolo obbedirà ai tuoi ordini”. “Guarda, ti ho messo a capo della terra d’Egitto, io sono il Faraone ma, senza il tuo permesso, nessuno potrà alzare una mano o un piede in tutta la terra d’Egitto” (Genesi 41:40-44).

Sotto il comando di Giuseppe, non solo l’Egitto divenne una superpotenza, ma rese anche schiave del Faraone le nazioni vicine, prendendo il loro denaro, la terra e le greggi (Genesi 47:14-19). Tuttavia, i primi beneficiari del successo dell’Egitto furono gli ebrei. Sapendo a chi doveva la sua ricchezza e la sua potenza, il Faraone disse a Giuseppe: “La terra d’Egitto è a tua disposizione; sistema tuo padre e i tuoi fratelli nel posto migliore del paese, falli vivere nella terra di Goscen (la parte più ricca e più lussureggiante d’Egitto) e, se tu sai che fra loro ci sono degli uomini capaci, mettili a capo del mio bestiame”(Genesi 47:6).

Il segreto del successo di Giuseppe fu il suo lignaggio. Tre generazioni prima, il suo bisnonno, Abramo, aveva visto i suoi concittadini di Ur dei Caldei perdere la stabilità sociale a causa del crescente odio fra la gente. In tutta l’antica Babilonia, le persone stavano diventando sempre più egocentriche e lontane le une dalle altre. Questo si era manifestato molto chiaramente negli sforzi per costruire l’ambiziosa Torre di Babele. Il libro Pirkei de Rabbi Eliezer descrive come i costruttori della Torre di Babele facessero “salire i mattoni (per costruire la torre) dal lato est, per poi scendere dal lato ovest. “Se fosse caduto e morto un uomo, non gli avrebbero dato importanza, ma se fosse caduto un mattone si sarebbero seduti a lamentarsi: “Guai a noi; quando ne avremo un altro al suo posto?”’ L’alienazione fra i costruttori era degenerata a tal punto che “volevano parlarsi ma nessuno conosceva la lingua degli altri. Cosa fecero? Ognuno prese la propria spada e si combatterono fino alla morte. Infatti, metà della popolazione fu trucidata lì e il resto si sparse in tutto il mondo”.

Affranto, Abramo meditò sulla situazione dei suoi concittadini e comprese che l’intensificazione dell’egoismo non poteva essere fermata. Per superarla, suggerì ai suoi concittadini di aumentare la coesione della società in sincronia con la crescita dell’ego. Nella Mishneh Torah (Capitolo 1), Maimonide descrive questo come Abramo che inizia “a dare risposte al popolo di Ur dei Caldei”.

Il successo di Abramo attirò l’attenzione del Re babilonese Nimrod, che, secondo il Midrash (Beresheet Rabbah 38:13), affrontò Abramo cercando di dimostrare che aveva torto. Re Nimrod, non riuscendo nel suo intento, espulse Abramo dalla Babilonia. Mentre l’esule vagava verso la futura Terra d’Israele, continuò a raccontare alla gente delle sue scoperte, raccogliendo seguaci e discepoli. Secondo la Mishneh Torah di Maimonide (“Regole dell’idolatria”, Capitolo 1:3): “In migliaia e decine di migliaia si riunirono attorno ad Abramo. Egli instillò nei loro cuori il principio dell’unione come antidoto all’egoismo, scrisse dei libri su questo e insegnò a suo figlio Isacco. Isacco si sedette, insegnò ed informò suo figlio Giacobbe, lo nominò insegnante per sedere e insegnare… E Giacobbe nostro Padre insegnò a tutti i suoi figli”. Nel momento in cui Giuseppe arrivò, possedeva un metodo consolidato per raggiungere la stabilità sociale e la prosperità attraverso l’unione a fronte del crescente egoismo e allontanamento.

La situazione ci è sfuggita di mano

Come abbiamo visto prima, il Faraone sosteneva l’unione degli ebrei. Egli diede la terra migliore in Egitto esclusivamente a loro e lasciò che coltivassero il loro particolare modo di vivere, rafforzando sempre l’unione, non solo senza disturbarli, ma col suo pieno appoggio. Alla fine, quella particolarissima unione è diventata l’essenza del Giudaismo. Come ci racconta il libro Yaarot Devash (Parte 2, Drush n. 2), la parola Yehudi (ebreo) deriva dalla parola yihudi, che significa uniti.

I problemi iniziarono quando Giuseppe morì. Il Faraone, dice il libro Noam Elimelech, “è chiamato ‘l’inclinazione al male’”. Il Faraone non è semplicemente l’egoismo; ne è l’incarnazione stessa. Egli sarà gentile con te solo finché lo servirai. Quando disse a Giuseppe: “Io sono il Faraone, eppure senza il tuo permesso nessuno alzerà una mano o un piede in terra d’Egitto”, egli intendeva che Giuseppe avrebbe governato sull’Egitto perché il Faraone sapeva che l’unione paga. Senza unione, egli non avrebbe avuto motivo di fare un favore speciale ai parenti di Giuseppe.

Eppure, dopo la morte di Giuseppe, gli ebrei non mantennero l’unione. Volevano essere come gli egiziani: egoisti. Ma essi non sapevano che, così facendo, avrebbero perso il favore agli occhi del Faraone e sarebbero diventati ciò che gli ebrei sono sempre stati: dei reietti. Nel Midrash Rabbah (Esodo, 1:8) è scritto: “Quando Giuseppe morì essi dissero: ‘Cerchiamo di essere come gli egiziani’. Poiché fecero questo, il Creatore trasformò in odio l’amore che gli egiziani provavano per loro, come è detto (Salmi 105): ‘Egli ha trasformato il loro cuore per far odiare il Suo popolo, per abusare dei Suoi servi”’.

Il Libro della Coscienza (Capitolo 22) scrive ancora più esplicitamente che se gli ebrei non avessero abbandonato la loro strada verso l’unione, non avrebbero sofferto. Citando il Midrash che ho appena menzionato, il libro continua: “Il Faraone guardò i figli di Israele dopo Giuseppe e non riconobbe Giuseppe in loro”, cioè la tendenza ad unirsi. Dato che “Nuovi volti erano stati creati, il Faraone decretò nuove leggi per loro. Vedi, figlio mio”, il libro conclude, “tutti i danni, tutti i miracoli e le tragedie vengono da te, a causa tua e per tuo conto”.

In altre parole il Faraone si mise contro di noi perché avevamo abbandonato la nostra strada, la strada dell’unione al di sopra dell’odio e volevamo smettere di essere ebrei. Nel corso della nostra storia le peggiori tragedie ci sono capitate quando abbiamo deciso di smettere di essere ebrei e abbiamo abbandonato la via dell’unione. I Greci hanno conquistato la terra di Israele perché volevamo essere come loro e adorare l’ego. Abbiamo anche combattuto per loro come ebrei ellenizzati contro i Maccabei. Meno di due secoli dopo, il Tempio fu distrutto a causa del nostro infondato odio reciproco. In Spagna, siamo stati deportati e uccisi quando volevamo essere spagnoli e abbiamo abbandonato la nostra unione; in Europa siamo stati sterminati dal paese in cui volevamo dimenticare la nostra unione ed essere assimilati dalla nazione ospitante. Nel 1929, il Dott. Kurt Fleischer, leader dei Liberali nell’Assemblea della Comunità Ebraica di Berlino, espresse accuratamente l’annoso problema del nostro secolo: “L’antisemitismo è il flagello che Dio ci ha mandato per portarci a stare insieme e unirci”. Che tragedia è stata che gli ebrei di allora non si siano uniti nonostante l’osservazione veritiera di Fleischer.

Esodo

Quando Mosè è arrivato, sapeva che l’unico modo di salvare gli ebrei era di portarli fuori dall’Egitto, ossia fuori dall’egoismo che stava distruggendo le loro relazioni. Il libro Keli Yakar (Esodo 6:2) scrive su Mosè: “Lo spirito del Signore parlò alla figlia del Faraone per chiamarlo Moshe (Mosè) dalla parola moshech (tirare), perché egli è colui che tira fuori Israele dall’esilio”. Cioè, come Giuseppe prima di lui, Mosè ha unito le persone attorno a lui e quindi le ha liberate dall’Egitto.

Eppure, anche dopo la loro uscita, gli ebrei corsero il pericolo di ricadere nell’egoismo. Ricevettero il loro “sigillo” come nazione solo quando ricostruirono di nuovo il metodo di Abramo, quello di unirsi al di sopra dell’odio. Furono dichiarati una nazione nel momento in cui si impegnarono ad unirsi “Come un solo uomo con un solo cuore”. Gli ebrei si unirono ai piedi del Monte Sinai, dalla parola sinaa (odio), e perciò coprirono il loro odio con l’amore.

Per mezzo della loro unione, Mosè ristabilì l’impegno degli ebrei di unirsi come antidoto all’egoismo. Questa è stata l’essenza del Giudaismo fin da allora, o come disse Hillel il Vecchio nel Talmud: “Ciò che odi, non farlo al tuo prossimo; questa è tutta la Torah” (Shabbat, 31a). Coprendo il loro egoismo con l’amore e l’unione, gli ebrei sono riusciti a superare le innumerevoli prove e le tribolazioni sopportate dall’Esodo fino alla distruzione del Secondo Tempio. Re Salomone ha formulato succintamente il principio del Giudaismo con un breve verso nei Proverbi (10:12): “L’odio provoca liti, ma l’amore copre tutte le colpe”.

Il Faraone ed il Mosè dentro di noi

Quando leggiamo la Haggadah, è buona norma tenere a mente che il Faraone, Giuseppe, Mosè e tutti gli altri personaggi sono più che semplici figuranti della nostra storia. Ci viene raccomandato di ricordare l’esodo dall’Egitto ogni giorno perché queste sono in realtà parti di noi! Noi abbiamo tutti il Faraone, l’inclinazione al male, dentro di noi; ma non abbiamo dentro di noi abbastanza Mosè e Giuseppe, le forze di unione. Siamo arroganti, supponenti ed egoisti fino al narcisismo. Abbiamo perso la nostra ebraicità, la nostra tendenza all’unione.

Di conseguenza, proprio come gli egiziani si sono rivoltati contro gli ebrei quando questi hanno abbandonato la strada di Giuseppe, il mondo si sta rivoltando contro di noi per la nostra mancanza di unione. Non troveremo soluzione all’antisemitismo eliminando le invettive antisemite. Questo non sradicherà l’odio. Come dice il sopra menzionato Libro della Coscienza: “Vedi, figlio mio, tutti i danni, tutti i miracoli e le tragedie vengono da te, a causa tua e per tuo conto”. La nostra mancanza di unione crea, alimenta e fomenta il fuoco dell’antisemitismo.

Quando Abramo trovò il suo metodo per superare l’egoismo, volle condividerlo con tutti. Allo stesso modo, appena gli ebrei divennero una nazione, furono incaricati di essere “Una luce per le nazioni”. In altre parole, venne comandato loro di portare l’unione al mondo e di completare ciò che aveva iniziato Abramo. Ma per raggiungere questo obiettivo, dobbiamo prima uscire dal nostro Egitto interiore: abbandonare il dominio del Faraone dentro di noi e scegliere la via di Giuseppe e Mosè, la via dell’unione. Mosè sapeva cosa Abramo aveva cercato di raggiungere e tentò di fare lo stesso. Ramchal, nel suo commento alla Torah, scrisse che: “Mosè desiderava completare la correzione del mondo in quel tempo. Tuttavia, egli non ebbe successo a causa delle corruzioni che si verificarono lungo il percorso”. Così, in fin dei conti, essere ebrei significa seguire il percorso di Abramo e Mosè: il percorso dell’unione, della responsabilità reciproca e della fratellanza. Quando cerchiamo l’unione, siamo ebrei, quando cerchiamo altri obiettivi, non lo siamo.

La festa della libertà

Pesach è la festa della libertà, eppure non possiamo essere liberi finché saremo schiavi del nostro ego. Liberarsi dal Faraone significa liberarsi dall’inclinazione al male: dal desiderio di danneggiare, comandare e opprimere gli altri. Siamo lontani da questo. Fino a quando rimarremo così non dobbiamo aspettarci che l’antisemitismo si plachi. Al contrario, esso crescerà solamente perché, come ho già detto, il nostro egoismo lo crea, lo alimenta e lo fomenta.

Se vogliamo festeggiare un Seder corretto, dobbiamo mettere nel giusto ordine le nostre priorità: viene prima la nostra unione e dopo tutto il resto. Possiamo non essere d’accordo sulla politica, sulle questioni LGBT (lesbiche, gay, bisessuali, trans-gender), su Israele o sugli affari di famiglia. Ma se non ci uniremo al di sopra di tutte le nostre divergenze allora stiamo sbagliando, indipendentemente dalla nostra posizione. Proprio come una madre ama i suoi figli a prescindere dal loro aspetto, dalle convinzioni e dalle azioni, noi dobbiamo trovare il modo almeno per cominciare ad avvicinarci gli uni agli altri. Questo sarà l’inizio della liberazione dal Faraone interiore.

Quest’anno, mentre riparleremo della storia dei nostri antenati, cerchiamo anche di pensare agli antenati dentro di noi, le forze dell’egoismo o della connessione e della fratellanza: chiariamo dentro di noi quale di esse stiamo soddisfacendo e quali dovremmo soddisfare.

Auguro a tutti noi una Pesach felice e kosher (libera dall’odio).

Originariamente pubblicato su Unitingeurope.blogactiv.eu

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